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15 Febbraio/ IL SORRISO DI DIO

O cuore mio, non staccarti dal sorriso del tuo Dio, non errare lontano da lui! Colui che veglia sugli uccelli, sulle bestie e sugli insetti, colui che ha preso cura di te quand’eri ancora nel seno di tua madre, non ti custodirà ora che ne sei uscito ?

KABIR

Per il credente (ma anche per chi ha una visione «umanistica» dell’e­sistenza) la vita è un dono che riceviamo e dobbiamo custodire ed esaltare fin dal suo sbocciare, proseguendo poi nella sua crescita, nella sua efflorescenza più splendida e anche quando sembra avviz­zire ed entrare nel crepuscolo.

Su di essa veglia sempre Colui che l’ha creata: Giobbe, con un’immagine vivace e intensa, vede Dio mentre stringe tra le mani il filo del «respiro vitale di ogni carne umana» (12,10). Questa presenza divina trascendente è celebrata in tutte le grandi civiltà che considerano la vita come una realtà sacra e non come un puro e semplice evento biologico, come un grumo di cellule e di dinamismi fisiologici.

È ciò che ci ricordano anche i versi da noi citati: essi appartengo­no a uno dei maggiori poeti mistici indiani, Kabir, vissuto nel XV se­colo, espressione di una spiritualità popolare che talora sconfinava nel panteismo.

Restano, comunque, suggestive due componenti di questo breve canto. Da un lato, c’è la certezza della Provvidenza di­vina che, a partire dal feto (si legga anche il Salmo 139,14-16), custo­disce con premura la sua creatura, pur coi limiti del suo essere, della sua fragile libertà, del vincolo al tempo e alla natura.

D’altro lato, c’è quell’immagine – spirituale e poetica al tempo stesso – del «sorriso di Dio». Come il padre e la madre si chinano deliziati sulla loro crea­tura, anche quando è debole e fin malata, così il Creatore è sempre orgoglioso della sua creatura, anche se imperfetta e fin peccatrice. E «come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» (Isaia 66,13). Dio, quindi, ha non solo un volto paterno ma anche materno e sorride e non abbandona mai il figlio che ha generato.

Gianfranco Ravasi