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18 aprile/ LIBERI O SERVI

Uno domanda: «E poi, che cosa accade?». L’altro, invece, domanda soltanto: «Quello che faccio, è giusto?». Ecco, si distingue così il libero da un servo.

HANS THEODOR STORM

Ho scelto questa volta come stimolo per una riflessione una consi­derazione efficace e icastica di uno scrittore germanico che non so se abbia traduzioni in Italia: è Hans Theodor Storm, uno dei maestri della prosa tedesca dell’Ottocento, ma attento anche alle trasforma­zioni della società (di professione, infatti, era un giudice). Egli trac­cia la linea di demarcazione tra l’uomo autenticamente libero e mo­rale e colui che è servo, pur illudendosi di essere furbo e previdente. Quest’ultimo, infatti, si preoccupa solo del risultato vantaggioso o meno delle sue azioni. Tutto è computato secondo un criterio egoi­stico ed esteriore.

La persona veramente responsabile e cosciente si interroga, inve­ce, sulla moralità della sua azione, sulla correttezza etica dell’opera che sta per intraprendere, pronto a rinunziare anche a un vantaggio derivante, qualora l’atto in sé sia perverso. La vera ricompensa egli la cerca nella pace della sua coscienza, nella dignità della rettitudine, nella coerenza della sua vita.

Questo gusto interiore si fa sempre più raro, non perché si vogliano a tutti i costi violare le norme ma perché l’attitudine generale è quella dell’amoralità, dell’evitare ogni do­manda scomoda, ogni autocritica, ogni capacità di rinuncia. Ci si crea, così, una coscienza essiccata e sterile oppure la si rende talmen­te elastica da esser capace di coprire tutto, rendendola in tal modo disabilitata a distinguere il bene dal male e ad avere quel rigurgito di vita morale che è il rimorso.

Gianfranco Ravasi