Avevo due rosari d’argento, con la piccola medaglia della Beata Vergine di Lourdes. Uno a te lo donai perché ti fosse compagno nelle notti in cui più il male t’era martirio, e con lo scorrer dolce dei chicchi fra le dita, nel pensiero di Dio placare in te spirito e carne, fratello. All’uno dei polsi tu volesti quel rosario scendendo al tuo riposo estremo. Ed io sull’altro a me rimasto, sgrano a sera le solinghe Avemarie, te ripensando …,su di te chiamando la luce eterna.
ADA NEGRI
Poetessa dell’infanzia e dell’adolescenza scolastica di quanti sono della mia generazione, Ada Negri (1870-1945) con questa poesia tratta dalla raccolta II dono (1936) evoca una delle devozioni mariane popolari più care, quella del rosario. Il ricordo è tenero e delicato: Ada aveva due rosari, l’uno l’aveva affidato alla persona amata, l’altro l’aveva tenuto per sé.
Alla morte del «fratello», a sgranare quel rosario era rimasta solo lei, trovando nella preghiera un legame di amore. La poesia finisce, però, con uno sguardo al futuro: «Quando anch’io sarò dentro la terra con le mani giunte sul petto, all’uno dei polsi avrò un rosario: questo. E gran pace, finalmente, in cuore, fratello».
Oggi si chiude il mese di maggio e il calendario commemora la festa della visita di Maria alla parente Elisabetta. La figura della madre di Cristo è stata spesso nel cuore della devozione dei semplici.
Certo, bisogna «ri-centrare» correttamente la preghiera orientandola su Dio; però è altrettanto necessario non farle perdere calore, spontaneità, umanità. I «misteri» del rosario sono cristologici, ma vengono proposti in un flusso orante che coinvolge sentimento e tenerezza attraverso la femminilità materna di Maria. Quel gesto finale del rosario al polso è, allora, il suggello di una fede semplice ma pura.
Gianfranco Ravasi