Menu Chiudi

Tristezza  … e D’Ambrosio missing l’ABBAZIA DI KALENA, UN ANNO DOPO

Nel primo Novecento, come ci raccontava  il maestro Nicola Pupillo, si marciava allegramente verso l’Abbazia per onorare la Madonna di Càlena, per partecipare all’allegria generale che prendeva i fedeli attorno all’antico edificio, per bighellonare tra le bancarelle, mangiando noccioline o leccando il gelato di "Masinuccio". I bambini più grandicelli utilizzavano un autarchico monopattino: “a roc’lë”. Attaccato al manubrio, portavano un grosso fazzoletto pieno di noci fresche.

 

I grandi, i nonni, i genitori, le ragazze e i giovani speranzosi di poter scambiare qualche parola con l’innamorata, si recavano in chiesa, dove si celebrava messa. La chiesa straripava di fedeli. In prima fila, c’erano i Martucci. Era l’occasione per affermare il loro ruolo di “padroni”.
 
Oggi la messa a Càlena non si dice più. La chiesa è sconsacrata e i due preti di Peschici si limitano a recitare un semplice rosario alla Madonna. Quest’anno la festa è stata in forse fino all’ultimo.
 
L’arcivescovo Domenico D’Ambrosio, in polemica con i politici e i Peschiciani che su Càlena finora hanno detto “soltanto tante parole, parole, parole”, quest’anno non è presentato.  I finanziamenti su Càlena sono stati azzerati dalla nuova finanziaria di Berlusconi. 500mila euro perduti come i 350mila di qualche anno fa. Dopo 10 anni si riparte da zero.  Famiglia Martucci permettendo!

L’ABBAZIA PRIGIONIERA
8 settembre 2008. Abbazia di Càlena (agro di Peschici). Siamo tornati anche noi, puntuali come ogni anno. Oggi è la festa della Madonna delle Grazie, l’unico giorno dell’anno in cui l’abbazia è aperta al pubblico. L’appuntamento è alle ore 17.00, giù nella Piana assolata, spesso alluvionata, e ormai quasi tutta cementificata, di Peschici.
C’è il sindaco Mimmo Vecera, c’è  Don Saverio Papicchio con una coroncina del rosario in mano, c’è  la piccola banda musicale di Peschici, c’è un gruppetto di fedeli, anzi di “fedelissimi”, con Enzo d’Amato in testa.

Pesa come un macigno l’assenza di monsignor Domenico D’Ambrosio, volutamente lontano da Càlena in questa giornata. Non centra nulla il forte malore avuto pochi giorni fa a Manfredonia, durante la processione della Madonna di Siponto. Debole la sua giustificazione: “Non sono mai stato alle altre feste della diocesi, l’8 settembre. Quest’anno voglio  essere lì. Basta con Càlena!”.
Un’assenza voluta. Polemica. L’aveva preannunciata, velatamente, il 7 agosto nella sala consiliare di Peschici, durante la presentazione del volume del Centro Studi Martella “Chiesa e religiosità popolare a Peschici”. Allora, rivolgendosi ai politici e all’auditorio, aveva detto: “Su Calena si sono sprecati fiumi di parole. Basta, non ne posso più! D’ora in poi, voi andate avanti e io vi verrò dietro!”.
E si era lanciato nel suo j’accuse più che contro i proprietari, contro i Peschiciani che da troppo tempo assistono inerti al degrado di un luogo sacro e del suo simbolo più prezioso: una Madonna orante del 1393, pericolosamente in bilico sul campanile a vela ormai sgarrupato del convento-fortezza. Toni, quelli di D’Ambrosio, da “ira Dei”, contro una religiosità di facciata, ancorata sì alle antiche tradizioni, ma non rivissuta e ricreata giorno per giorno nella sua vera essenza: “La colpa è vostra, non siete stati capaci neppure di difendere Càlena, avete lasciato che la vegetazione coprisse l’effigie della Madonna. Neanche le erbacce siete stati capaci di strappare!”. Poi l’invito quasi palese: io una soluzione ce l’avrei, ve la suggerisco da un pezzo ( occupare l’abbazia di Calena! ndr.),  ma voi non mi ascoltate!”.
Una voluta riluttanza, quella di D’Ambrosio,  ad impegnarsi ancora per Càlena, e che si è manifestata clamorosamente nella mancanza di “istruzioni” al clero locale, per la celebrazione della festa. Che ha rischiato addirittura di “saltare”. Ma il “rifiuto” di don Angelo e don Saverio (“un’altra processione? Ma no, basta con le processioni! Non abbiamo avuto nessun “ordine” di scendere a Càlena!”) ha provocato la silenziosa “rivolta” del pasionario Enzo d’Amato, che dopo aver invano protestato con i due sacerdoti e con il sindaco Vecera (che aveva stoppato anche le celebrazioni civili), con l’aiuto del sanguigno “difensore civico” Tonino Guerra, ha stilato un accorato manifesto alla popolazione di Peschici.
Il vistoso foglio  giallo formato A3, con l’appello agli uomini “di fede” a non dimenticare le loro origini,  è stato poi distribuito e affisso per le strade, il lido, gli alberghi e i campeggi di Peschici.
Il testo recita così: “Da secoli è vivo il ricordo della Madonna di Càlena. Le persone passano, lasciano la Terra… e la vita. Invece, il ricordo e la storia restano. Restano … scolpite nella pietra e nel tempo, oltre che nell’anima. L’uomo quando perde la fede smarrisce il suo essere, e non ha più alcun senso. Ricorda, dunque la festa della Madonna di Càlena. Partecipa anche tu all’evento presso l’antica abbazia situata ad un Km di distanza dal centro abitato di Peschici: lungo una stradina adiacente al rettilineo strada statale 89 che porta a Vieste. La testimonianza è partecipazione e vita, come la Fede. Partecipa oggi anche tu!”.
Accidenti ad Enzo d’Amato! Impagabile “crociato di Càlena”, senza il cui stimolo continuo la battaglia forse sarebbe stata abbandonata, disertata da un pezzo da tutti noi!  Chissà! La voce della sua protesta sarà arrivata fino al Cielo! E la Madonnina di Càlena, di Lassù,  avrà ispirato all’Arcivescovo Don Mimì d’Ambrosio quella secca telefonata “riparatrice” che ha sbloccato tutto, la mattina dell’8 settembre, producendo affannosi contrordini anche al Comune: “La festa ormai si fa. Tutti giù a Calena! Richiamate la banda!”.  Tutto si riavvia in quattro e quattrotto! E vai… Il piccolo corteo si avvia lentamente in processione, dal rettilineo della Statale 89, percorrendo velocemente poche decine di metri della via affianco all’abbazia. La banda intona una marcetta. Davanti al portone aperto, c’è un po’ di gente che aspetta il piccolo corteo. Come sempre, c’è l’ingegnere Vincenzo Martucci a fare gli onori di casa.
Si entra nel chiostro. L’edera ha ricoperto tutti i fabbricati. I due garage-magazzino sono chiusi, coperti dalla fitta vegetazione antistante. E’ quel che resta della chiesa più antica di Càlena, quella segnalata dal Bertaux. Le cupolette in asse si intravedono appena, dalle feritoie delle porte di ferro.   Tento di filmarle, ma è troppo buio, dentro.
Don Saverio snocciola un rosario. La gente, che si è messa in circolo nel cortile dell’abbazia,  risponde.
Entriamo nella chiesa “nuova”.  L’edera, arrampicatasi sulla rete divisoria, ne ha fatto un muro verde. La statuetta della Madonna di Calena si vede da lontano. Sembra tanto piccola. Don Saverio recita la supplica, conclude il rosario. I fedeli rispondono.

L’abbazia pian piano si è piena di gente. Volti familiari e non. C’è l’ex sindaco Tavaglione, c’è Saverio Serlenga, un aficionados di Calena che ne segue le cronache da una decina di anni, da quando era direttore del Corriere del Golfo, e poi di GarganoParco. 
Serlenga intervista il sindaco Mimmo Vecera, Vincenzo Martucci. Intervista anche me…
Cosa dire ormai, dopo tanti anni? Che sono “desolata” per questa storia infinita di Càlena? Che registro con sempre minor fiducia le promesse istituzionali, dopo le perdite dei finanziamenti tanto faticosamente ottenuti (l’ultimo di 500mila euro, sparito dalla recente finanziaria, tarpa la speranza dell’avvio della soluzione del caso)?  Che spero che la questione venga chiusa presto, anzi prestissimo, se non vogliamo il crollo dell’abbazia?  
Vincenzo Martucci sta parlando con Enzo D’Amato e gli dice che l’approccio dei Peschiciani deve cambiare. Che bisogna ricominciare da zero. Ripensare a forme diverse per la risoluzione dell’annosa questione. Che, per raccogliere fondi per il restauro, bisogna  finalizzare le destinazioni dell’8 per mille, convogliandole  su Càlena.
Anche lui è scoraggiato. Mi racconta che varie volte, con il fratello Francesco, si è recato a Bari, dal soprintendente Martines per definire i tasselli del restauro dell’abbazia. Lo ha fatto anche a nome delle sorelle, anche se, da parte di una di loro, c’è una decisa “chiusura”, dovuta ad un’altra questione di cui nessuno parla. Il blocco, da parte della Soprintendenza, del fabbricato agrituristico sorto di fronte a Calena.
Mi sembra molto scoraggiato, Vincenzo. Lo conosco da anni. E’ lui che, dall’inizio della querelle, ha tenuto sempre aperta (forzando spesso anche la volontà della sua famiglia),  la porta del dialogo con le Istituzioni. Ha seguito il caso e si è adoperato per trovare quella soluzione che finora è mancata. Disponibile anche a  donare le due chiese. Ma il fratello e le due sorelle non sono d’accordo con lui. Non vogliono cederla assolutamente, questa “proprietà”. A costo di restaurarla soltanto con i loro soldi, come mi ha riferito giorni fa Francesco Martucci.
Ma Vincenzo frena sulle dichiarazioni del fratello. La famiglia ha presentato sì un progetto in Soprintendenza, ma prevede (si butta avanti) un restyling molto epidermico del monumento.
Al massimo la famiglia potrebbe spendere 200mila euro. Una goccia,  che non riporterebbe Càlena agli antichi splendori. Poi c’è il progetto della Soprintendenza. Che lui, pur richiedendolo, non ha  mai potuto visionare.
L’esproprio del Ministero? E’ un’ipotesi che tre eredi Martucci su quattro contrasterebbero strenuamente, se non altro “per una questione di principio”, affidandosi magari agli avvocati dei Messeni Nemagna, quelli che sono riusciti ad invalidare la confisca del Teatro Petruzzelli. Il riferimento, la pietra di paragone, è sempre quella: il Petruzzelli.
Mi congedo da Vincenzo Martucci, invitandolo a far inserire Càlena nei progetti di “Area Vasta Capitanata 2020”.   Ma bisogna far presto: le schede progettuali vanno presentate entro il 30 settembre.  La  Misura 4.2 prevede fondi per la  tutela, la valorizzazione e la gestione del patrimonio culturale. Potrebbe essere quella giusta per Càlena, ma è necessario che i proprietari si rapportino con il Comune di Peschici e gli enti pubblici. Chissà,  potrebbe essere un “treno” da non perdere, dopo tutti i treni perduti, in questi anni, anche a un millimetro dalla dirittura d’arrivo per Calena!
La gente sciama via via dall’abbazia.
Qualcuno si ferma a parlare con Vincenzo Martucci, ricordando che i loro nonni ci hanno lavorato, a Càlena. Altri tempi! 
Giro un filmino, e scatto qualche foto, a futura memoria. Ritorno nella chiesa “nuova” per un saluto alla Vergine con bambino.
 
Arrivederci all’anno prossimo, cara Madonnina di Càlena.
O forse no… Spero di vederti, fra qualche giorno, nella Chiesa Madre di Peschici.
L’atto di buona volontà, Francesco Martucci, l’ha fatto, come mi aveva promesso una settimana fa.
Ha detto a Don Saverio (… e  ha fatto dire a Don Mimì) che la statuetta, fino al restauro di Càlena, potrebbe restare tranquillamente nella chiesa Madre di Sant’Elia. Ha chiesto solo un’assicurazione contro eventuali furti.  “Doverosa –   ha precisato – anche per le altre preziosità della chiesa, come “gli ori” del profeta Elia e degli altri santi patroni. La Madonna con bambino fatta scolpire dai Canonici Lateranensi è troppo preziosa, risale alla fine del Quattrocento.  Nessuno si azzarderebbe a rubarla, ma non si sa mai, di questi tempi! Meglio essere prudenti. Riguardo alla teca blindata, è una precauzione voluta dalla Soprintendenza di Bari. E la spesa –  conclude –   è a carico loro, almeno così ha assicurato la dr.ssa Antonelli”.
Restiamo in attesa della risposta di monsignor D’Ambrosio. Meglio non riproporre di portarsi la statua a Manfredonia. I Martucci direbbero di no.
E, forse … avrebbero ragione. La Madonna di Càlena è la più antica protettrice di Peschici. Deve tornare a proteggere la sua città!
CALENA, UN’ABBAZIA MOLTO ANTICA E DALLA STORIA "AVVENTUROSA" CHE AFFONDA NELLA LEGGENDA

Non si conosce esattamente la data della fondazione della badìa di Càlena, ma era certamente esistente nell’XI secolo. Lo attesta la donazione all’abbazia di Tremiti, fatta dal vescovo di Siponto, nel 1023, della "ecclesia deserta in loco qui vocatur C(K)alena, cuius vocabulum est sancta Maria". Secondo il Giannone sarebbe stata eretta nell’872. Fu elevata ad abbazia nel 1058, nel 1255 ai Benedettini subentrarono i Cistercensi e a questi i Canonici regolari Lateranensi nel 1412. Essa fu a lungo contesa dalle potenti badie benedettine tremitense e cassinense, ma riuscì a rendersi indipendente fino al 1445, quando ritornò definitivamente alla badia isolana. Nel 1420 i beni in suo possesso ammontavano a circa 30 chiese con mulini, case, terre, oliveti, diritti di pesca su Varano e la città di Peschici.
Non mancano suggestioni e leggende intorno a questo luogo: dall’acquasantiera posta in fondo alla navata sinistra arriverebbe il rumore della risacca marina portata dal cunicolo che, partendo dall’abbazia, conduce allo Jalillo e che serviva ai frati per scampare alle scorribande saracene.
 
 
IL VECCHIO E IL NUOVO/UNA FONTANA DEL 1561, LA FABBRICA DEL CAPITOLO E I DORMITORI: I TESORI DEL CHIOSTRO DI CALENA
Al centro della Piana omonima, l’abbazia benedettina di Càlena si erge con due chiese, titolate a S. Maria delle Grazie, la testimonianza più importante del medioevo garganico. La prima, la più antica, è una delle quattro chiese pugliesi a tre navate con due cupole in asse. Oggi si può osservare ciò che resta del chiostro: la fontana del 1561 al centro, la fabbrica del capitolo e dei dormitori, il lato sinistro della prima chiesa voltata a cupole. Le due cupole, che sormontavano le due campate della navata centrale, affiancate da navatelle coperte con volta a botte, sono visibili oggi in due ambienti creati con la costruzione di una parete divisoria. Accanto vi è l’ingresso della chiesa “nuova”, in cui domina l’arco a tutto sesto romanico. Entrando ci si trova nella navata sinistra: le navate sono impostate da arcate massicce. Una piccola fortezza di Dio. A destra, la parete murata, che divide questa dalla chiesa precedente, contiene un’acquasantiera con bassorilievo d’un pesce, simbolo del Redentore. Si nota la mancanza della copertura sulla navata centrale, crollata nel 1943.
 
TERESA RAUZINO