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Vieste/ Viaggio negli anni dal 1943 al 2013. GLI ANNI CINQUANTA

Le dimostrazioni dei disoccupati nei giorni 8, 9, 10 marzo 1951

Questa volta, diversamente dagli anni precedenti, le dimostrazioni sono avvalorate e faticosamente gestite dagli esponenti sindacali.

Nell’autunno-inverno 1950-51, la foresta di ulivi che riempie la campagna di Vieste non aveva portato frutto. La massa dei contadini, uomini e donne, la cui principale occupazione stava nella raccolta delle olive, che nelle buone annate durava fino a tre mesi, era oramai alle strette, non sapeva più a che santo votarsi per provvedere alle necessità della famiglia. Alla ricerca di soluzioni alternative si tenevano assemblee sindacali nella Camera del Lavoro e incontri con le autorità locali. Ma senza esito. Si andava avanti con continui rinvii. In realtà qualche provvidenza per lenire la disoccupazione di Vieste era in corso di definizione. Si trattava di due cantieri di lavoro, detti “cantieri scuola”. Uno di rimboschimento assegnato al Comune e un altro per muratori concesso all’ACLI per la costruzione dell’oratorio S. Giuseppe. Ma per ritardi burocratici non erano ancora stati aperti. Poi vigeva una disposizione governativa per la quale le imprese agricole dovevano assumere lavoratori per un certo numero di giornate all’anno, calcolate in base alla superficie posseduta e al tipo di coltura. Un’apposita commissione, in sigla MILA, ne curava l’applicazione.

Il giorno 6 marzo, dopo alcuni precedenti incontri fra lavoratori, sindacati e autorità, c’era stata un’ulteriore riunione di detta commissione, secondo la quale si potevano avviare al lavoro soltanto 185 operai, dei 350 che risultavano disoccupati all’ufficio di collocamento. Il sindacato aveva contestato quei numeri come inferiori alla realtà. Dal che era scaturito un altro rinvio per effettuare delle verifiche.

Di questo passo arriva il momento in cui i disoccupati non ne possono più. Il giorno 8, assiepati presso l’ufficio del lavoro insistono per essere avviati al lavoro tutti e 350.

Non avendo ottenuto assicurazione, si dirigono verso la sede dell’associazione agricoltori, dove gridano la loro richiesta in faccia ai pochi soci presenti. I quali, naturalmente, possono impegnarsi solo per se stessi. Dunque, ancora nulla di fatto.

La dimostrazione riprende con maggior forza il giorno successivo. Un’imponente sfilata, forse più di mille persone, che inalberano cartelloni e chiedono a gran voce pane e lavoro, attraversa le vie principali del paese. Volano insulti e minacce all’indirizzo di persone in vista locali e nazionali.

L’indomani, 10 marzo, la protesta ricomincia con ancora più forza. Nuovi incontri, nuove riunioni durante la giornata. La sera l’assembramento dei manifestanti si ripete sotto il municipio. Ci sono pure molte donne. La violenza verbale è alta, scomposta. Le parole che più si sentono, serie, urlate sono “vogliamo pane e lavoro”.

I manifestanti sembrano determinati a non lasciare la piazza. C’è paura del peggio. Poi, finalmente, sulla promessa del sindaco che farà il possibile affinché tutti i disoccupati abbiano un periodo di lavoro, i sindacalisti riescono a far sciogliere l’assembramento.

La mattina dopo giunge a Vieste un reparto della polizia detta Celere, che procede al fermo di numerosi dimostranti. Di essi, alcuni sono rilasciati nel pomeriggio, 27 sono denunciati a piede libero e 21, compresi quelli che saranno arrestati nei giorni successivi, vengono portati nel carcere di Foggia. Seguirà un processo con molte e severe condanne.

Elezioni comunali del 1952.

A maggio del 1952, tornammo alle urne per il rinnovo del consiglio comunale. Si votò ancora col sistema maggioritario. La Democrazia Cristiana bissò il successo della precedente votazione.

Per quasi tutta la campagna elettorale, a Vieste, aveva avuto come avversario principale il Partito Nazionale Monarchico. Però negli ultimi giorni i suoi esponenti, intimoriti dai discorsi oltranzisti dei comunisti, temendo di favorirne la vittoria, fecero marcia indietro e orientarono quanti poterono del loro elettorato a votare DC. Del PNM furono eletti cinque consiglieri, i quali aggiunsero frequentemente i propri voti a quelli dei democristiani, che erano venti, quindi già maggioranza di proprio e non ne avevano bisogno. Cinque consiglieri furono i comunisti.

I trenta eletti sono elencati qui di seguito a cominciare dal maggior suffragato, come sono scritti nei verbali del Consiglio.

Al primo scrutinio fu eletto sindaco, con 25 voti (20 democristiani e 5 monarchici-missini), il dottor Francesco Manzini, Al momento della proclamazione si sentì tra gli applausi, alta una voce: “abbiamo debellato i don”. Manzini, infatti, era il primo sindaco di Vieste senza il don davanti al nome di battesimo, essendo riservato questo titolo, che poi non era un titolo, ai possidenti e ad altre persone ritenute importanti, come segno di rispetto. Chi aveva levato la voce non era un comunista. Era Domenico Giuffreda, un giovane di notevole vivacità intellettuale, ideologicamente di area centrista, spirito libero e aperto. La sua era stata più che altro una battuta, quasi scherzosa, forse esagerata, pur tuttavia un sensore, piccolo quanto si voglia, dell’idea di democrazia moderna che si andava facendo strada.

Nella stessa seduta fu eletta anche la Giunta Municipale.

Sindaco: Francesco Manzini. Vicesindaco e assessore: Mariano delli Santi. Assessori: Pietro Paolo Cariglia, Mario Polidoro, Giuseppe Troiano, Domenico Lombardi, Paolo Tricarico.

Nonostante la giovane età, il sindaco Manzini, eletto che aveva 27 anni, guiderà la civica Amministrazione con fermezza, saprà gestire bene le situazioni d’interesse comunale operando con intelligenza in tutto quanto di sua competenza.

Fino alla metà degli Anni Cinquanta, nel mondo del lavoro cittadino – botteghe artigiane, esercizi commerciali, pesca – il personale addetto si attivò per aggiornarsi nel mestiere e nelle attrezzature. Per i braccianti agricoli, invece, la situazione rimase stazionaria, nel senso che la campagna riusciva a dar lavoro solo a una parte di loro. La disoccupazione era leggermente alleviata dai cantieri più avanti citati della durata di 40/60 giorni, e dai lavori pubblici ai quali dedicarono impegno particolare il sindaco Francesco Manzini e il vicesindaco Mariano delli Santi suo stretto collaboratore.

E’ di quegli anni la costruzione al lungomare Europa della Casa della Maternità e Infanzia, voluta dall’onorevole Grazia Giuntoli, democristiana, presidente provinciale dell’ONMI. In detta organizzata struttura entrarono in funzione un consultorio di ginecologia e ostetricia e uno di pediatria nonché un centro di accoglienza per bambini dai 18 mesi ai 3 anni. Nell’85 i due consultori vennero trasferiti nella struttura edificata alla Coppitella, dove già funzionava il pronto soccorso e un poliambulatorio. Nell’edificio al lungomare Europa rimase il centro di accoglienza dei bambini, tuttora ancora lì. Al piano superiore, costruito poi dal Comune, ora c’è la Guardia di Finanza.

Fu sistemato al meglio il terreno di gioco del campo sportivo; fu gettato il seme della strada litoranea Vieste-Campi, che non andò a frutto, ma entrò nel progetto della strada litoranea Vieste-Mattinata, fatto redigere e subito realizzato dalla successiva amministrazione. Furono eseguiti gli scavi, diretti dall’ingegnere Lorenzo Diana, nell’area archeologica di Merino, dove vennero alla luce numerose testimonianze di epoca romana, tra le quali un mosaico raffigurante la nascita di un cavallino. Ne scrissero allora ampiamente Il faro di Vieste, a firma di Giovanni Medina,e il settimanale foggiano Il foglietto del 21/10/1954. Poi, di Merino hanno scritto Vittorio Russi, don Marco Della Malva, io stesso, Francescantonio Innangi, Michele Potito, don Giorgio Trotta, don Pasquale Vescera, Antonio Sollitto, forse altri che non mi sono noti.

Per sopraggiunti impegni di lavoro fuori di Vieste, il sindaco Manzini si dimise nell’agosto del 1954.

Gli succedette nell’incarico, per il restante periodo del ciclo amministrativo, Giovannangelo D’Errico, persona dotata di grande sensibilità civile e sociale. Stante la breve durata del suo sindacato, se non poté attuare programmi vistosi, gli vanno d’altra parte riconosciute l’attenzione, la cura posta a seguire le opere in corso di attuazione e l’efficienza nel trattare le cose che la realtà quotidiana gli presentava.

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Ludovico Ragno

Il Faro settimanale