Quando nell’ottobre del 1931 il Regime chiese il giuramento di fedeltà ai professori universitari, soltanto in 14 (la storiografia ufficiale ne indica invece 12) si rifiutarono di accettare l’imposizione.
LA RICORRENZA
Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche della 60esima Armata del “Primo Fronte ucraino” del maresciallo Ivan Konev arrivarono per prime presso la città polacca di Oswicim, scoprendo il vicino campo di concentramento di Auschwitz e liberandone i superstiti.
La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazifascista. Nonostante i sovietici avessero liberato circa sei mesi prima il campo di concentramento di Majdanek e “conquistato, nell’estate del 1944, anche le zone In cui si trovavano i campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka, fu stabilito che la celebrazione del giorno della Memoria coincidesse con la data in cui venne liberato Auschwitz. La data del 27 gennaio in ricordo della Shoah, lo sterminio del popolo ebraico è indicata quale data ufficiale agli stati membri dell’ONU, in seguito alla risoluzione 60/7 dell’1 novembre 2005.
L’orrore della Shoah è stato raccontato mille volte, con tutti i linguaggi e in tutte le lingue, e mille ne serviranno ancora e poi ancora mille. Una narrazione cominciata troppo tardi, difficile da raccontare, difficile soprattutto da accettare. L’infamia dello sterminio di massa degli ebrei, teorizzato da Adolf Hitler, ebbe infatti nei fascisti italiani i suoi collaboratori fattivi. Il famigerato ‘Manifesto della razza’, pubblicato originariamente in forma anonima sul ‘Giornale d’Italia’ il 15 luglio 1938 col titolo “Il Fascismo e i problemi della razza”, il 5 agosto fu ripubblicato, stavolta firmato da 10 scienziati, sul numero uno della rivista “La difesa della razza” di Telesia Interlandi. Tale manifesto ovviamente non fu accettato da tutti gli intellettuali e studiosi italiani, ma le reazioni indignate, se ci furono, furono davvero flebili. Il fascismo non venne affatto ostacolato dall’intellighenzia che aveva aderito alla fascistizzazione della cultura con entusiasmo o soltanto con “distinguo interiori”. Quando nell’ottobre del 1931 il Regime fascista aveva chiesto il giuramento di fedeltà ai docenti universitari, soltanto in 14 (la storiografia ufficiale ne indica solo 12) si rifiutarono di accettare l’imposizione. “Nessun professore di storia contemporanea, nessun professore di italiano, nessuno di coloro che in passato s’erano vantati di essere socialisti sacrificò lo stipendio alle convinzioni così baldanzosamente esibite in tempi di bonaccia”, fu l’amara constatazione dello storico antifascista Gaetano Salvemini, allora in esilio.
Sono passati ottantatrè anni da quando in Italia furono promulgate le leggi razziali: 180 regi decreti legge, tra l’estate e l’autunno del 1938, furono firmati da Benito Mussolini in qualità di capo del governo e poi promulgati dal re Vittorio Emanuele III, tutti tendenti a legittimare una visione razzista della cosiddetta “questione ebraica”. Il 5 settembre si esclusero dalle scuole tutti gli appartenenti alla “razza ebraica”. Una parte dei cittadini italiani fu privata dei diritti più elementari. Gli ebrei non furono più cittadini come gli altri, vennero esclusi da qualsiasi servizio e attività pubblica.
Di colpo, cittadini comuni che fino al giorno prima avevano vissuto tranquillamente nella società civile venivano così dichiarati “nemici della razza superiore”, cittadini di “serie b” che non erano graditi allo Stato e che gli italiani “per bene” avrebbero dovuto evitare.
Una decisione che il Duce rivendicò: “Chi dice che stiamo imitando qualcun altro, è un deficiente”.Infatti non si trattava di un pensiero isolato: il razzismo, ossia l’idea che esistesse una razza superiore destinata per natura a dominare su tutte le altre, in quell’epoca era una corrente di pensiero ampiamente diffusa, sostenuta anche da ricerche e studi antropologici. Il razzismo in Capitanata fu avallato nelle Scuole dalla Gioventù Italiana del Littorio, che teneva corsi di “cultura fascista”. A Lucera, nell’aula Magna del Regio Liceo Ginnasio “Bonghi” ebbe inizio oggi alle ore 15 il corso di Cultura Fascista per gli organizzati della GIL. Nella cronaca di “Otto Settembre” (1938:A. 3, die., 1, fase. 5, pag 3) “Il segretario del Fascio, Comandante della GIL, ordinato il saluto al Duce, alla presenza di circa 500 organizzati e dei Capi d’istituto e delle Gerarchie del Partito ha svolto personalmente la prima lezione dal titolo: “Un popolo senza spirito militare”. Dopo aver accennato ai concetti informativi della politica razziale del Partito ed illustrato le nette differenze della razza italiana da tutte le altre razze, il Comandante spiegava ai giovani le caratteristiche del popolo giudeo, somatiche e morali, popolo senza esercito perché senza frontiere, e senza aratri perché senza terra dalle cui viscere poter trarre la fonte della vita. Il Comandante esortava quindi i giovani a rivolgere il loro grato pensiero alla onniveggenza del Duce che nel problema ebraico ha smascherato l’insidia alla pace del Mondo, ed a scolpire bene nella loro mente e nel loro cuore le parole che il Duce già 5 anni prima della fondazione della GIL rivolgeva ai giovani il 25 ottobre nel discorso di Milano “Un giorno non vicino, ci vogliono almeno 30 anni per temprare come io desidero l’anima di un popolo, un giorno noi saremo veramente fieri di consegnare i nostri gloriosi gagliardetti alla gioventù che cresce, vigoreggia splendida sotto ai nostri occhi. Noi diremo allora: questi sono i gagliardetti della rivoluzione consacrati dal sangue purissimo degli squadristi! Portateli in alto, difendeteli, se è necessario con la vostra vita, e fate che essi nei futuri decenni siano baciati dal sole di nuove e più luminose vittorie!”. Il cronista conclude dicendo che la “lezione”, che suscitò il più vivo interessamento tra i giovani, ebbe termine tra i canti della rivoluzione ed il grido “Duce, Duce”, con cui i giovani esprimevano al Duce tutta la loro riconoscenza e la loro fede”.
Sulla stampa fascista dell’epoca, le leggi razziali furono avallate, fra gli altri, da intellettuali di vaglia come Renzo Frattarolo e Carlo Gentile. In “Otto settembre “ del 3 dicembre 1938, in prima pagina, Renzo Frattarolo recensì “Contra Judeos” (Tumminelli, Roma-Milano), un volumetto in cui Telesio Interlandi, il direttore della rivista “Difesa della razza”e del “Tevere”, raccolse, come sottolinea il prefatore, “il materiale polemico da lui pubblicato qua e là alla macchia dal 1934 ad oggi”. Frattarolo definisce Interlandi “scrittore e polemista fra i giovani dei più seri”: «La salutare incolumità della razza è vista con occhio abituato a guardare lontano. La questione del meticciato e la biologia degli incroci, (..affrontate e studiate con tatto, con passione, con vivacità ricca di risorse dialettiche (…). E non solo le dannose conseguenze che la promuiscuità sessuale ha sullo sviluppo delle razze, ma anche il meticciato nella nostra vita nazionale, il meticciato intellettuale. Che è poi il complesso di quegli elementi intellettuali o sedicenti tali che non hanno e non possono avere radici nella Nazione Italiana, che non sentono vincoli se non intellettualistici, cioè essenzialmente formali, con la Nazione italiana, che non ammettono né ammetteranno mai vincoli infrangibili. Gli ebrei, s’è già capito».
Ora, secondo Frattarolo, è per difendere l’Italia da questo pericolo crescente che il Regime mussoliniano s’è trincerato nella più attiva e ferrea difesa. Le riforme del gran Consiglio, scolpite alle origini della Rivoluzione in termini chia-rissimi nell’oratoria e nel pensìiroclèl Duce, sono oggi una realtà viva e vitale, non solamente postulato essenziale della nostra politica, ma parte integrante dell’ordinamento giuridico dello Stato. A tempi nuovi, dunque, dogmatica nuova. E non per mania di persecuzione ma per ragioni serie e profonde. E del resto uno stesso ebreo, il famoso pubblicista Lazare, come sottolinea Interlandi, lo ha significativamente dichiarato: “Un’opinione così universale come l’antisemitismo, fiorito in tutti i luoghi e in tutti i tempi, prima dell’era cristiana e dopo, ad Alessandria, a Rom, ad Antiochia, in Arabia, in Persia, nell’Europa moderna, in una parola in tutte le parti del mondo ove ci sono stati o ci sono ebrei, non poteva essere il risultato di una fantasia o di un capriccio perpetuo, il suo sorgere e il suo permanere dovevano avere ragioni serie e profonde’’. E’ così. Ed è tutto, conclude Frattarolo.
Quello che preoccupa Frattarolo non è la quantità, ma la qualità degli ebrei. La soluzione radicale della questione razziale è stata affrontata a viso aperto con una demarcazione ideologica e politica netta e precisa. Il perché della discriminazione, il perché della individuazione razzistica e religiosa fissata attraverso il censimento della popolazione, è chiaro ed evidente: “ A che vale ancora ricordare che in ogni circostanza, in ogni giusta battaglia contro gli elementi dissolventi, bolscevismo, socialismo, massoneria, lega ginevrina ecc, la Rivoluzione Fascista s’è trovata di fronte l’irriducibile esclusivismo di Israele, la Torah dai mille tentacoli, la sozza nascosta strisciante politica della banca e del giornalismo ebraici?”.
“Alla razza … eletta – continua Frattarolo- non abbiamo dato in verità molti dispiaceri, dalla conciliazione con la santa Sede alla creazione del regime corporativo, alla conquista etiopica, all’Asse Roma-Berlino, alla campagna autarchica, mentre prima l’invadenza giudaica non aveva conosciuto limiti e opposizioni, anzi noi ci eravamo consegnati, si può dire ad essa quasi con soddisfazione.
L’abisso tra il vivente corpo della Nazione e questa escrescenza giudaica risale ad origini antiche. Solo, la coscienza del pericolo e della minacciasi riaccentuano adesso, nell’Italia fascista e, perché la questione venga posta fuori della penombra dell’equivoco nella gran luce della verità, il Gran Consiglio ha emanato nell’Ottobre scorso le leggi che si sanno, e scrittori e giornalisti si son messi d’impegno per illustrare i sintomi della contaminazione di quotidiani in quotidiani, riviste (prima fra tutte la “Difesa della razza”), libri che, man mano che ci sarà possibile, conclude Renzo Frattarolo – recensiremo su queste colonne per una più vasta conoscenza del problema”.
òòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòòò
CARTA D’IDENTITÀ DI FRATTAROLO/ MANFREDONIANO, BIBLIOGRAFO E CRITICO
Lorenzo Frattarolo – manzonianamente Renzo, non solo per gli amici (come ricorda il prof. Alberto Petrucciani, ordinario alla Sapienza di Roma di Archivistica, bibliografia e biblioteconomia nel suo necrologio su «AIB Notizie», 15 (2003), n. 2, p. 8) era nato a Manfredonia, nel 1912. Oltre agli interessi di studioso di bibliografia e di storia della stampa, soprattutto nel Mezzogiorno (Bari, Napoli, ecc.), Renzo Frattarolo coltivò la passione per la letteratura italiana, come critico e saggista, fin dalla collaborazione giovanile alla Fiera letteraria. Dopo aver fondato con Giuseppe Ungaretti il Centro Italiano per gli Studi di Critica Letteraria, pubblicò i suoi lavori più importanti, dalla “Bibliografia speciale della letteratura italiana” per Marzorati (1959) al “Dizionario degli scrittori italiani contemporanei pseudonimi “(1975) e ai “Materiali per uno studio della letteratura italiana del Novecento” (1979, in collaborazione con Marco Santoro). All’attività di funzionario del Ministero dell’Istruzione, e poi dei Beni culturali, unì per diversi anni l’insegnamento universitario, a Bari, Perugia e Napoli; divenuto poi professore ordinario di Bibliografia, concluse la carriera accademica alla Scuola speciale per archivisti e bibliotecari di Roma. Renzo Frattarolo è morto a novant’anni nel 2003, a Trieste. Alle Biblioteche civiche della sua città, Manfredonia, ha donato gran parte dei suoi libri.
CARTA D’IDENTITÀ DI GENTILE/ FOGGIANO, EDUCATORE E FILOSOFO
Carlo Gentile (Foggia, 1920 -1984), filosofo, storico ed educatore, fu uno stimato professore di storia e filosofia presso il Liceo-Ginnasio Statale “Vincenzo Lanza” di Foggia, partecipe di una pluralità di esperienze e di interessi culturali ed umani sempre pervasi dagli ideali di fratellanza, tolleranza e non violenza. Si era laureato in filosofia a Napoli alla scuola di Antonio Aliotta. Nel 1945 fu affiliato alla Loggia «Pietro Giannone», avviando un percorso che lo porterà ai vertici del Grande Oriente d’Italia: dal 1967 al 1970 sarà Gran Sorvegliante, dal 1973 al 1976 Grande Oratore, dal 1976 al 1978 Gran Maestro Aggiunto. Studioso, saggista, bibliofilo, dalla pubblicazione delle sue opere partì la scalata dell’editrice foggiana Bastogi, che individuò nell’esoterismo massonico un punto fermo perla propria attività. Le opere principali di Carlo Gentile, tutte pubblicate dalla casa editrice Bastogi di Foggia, sono: “Alla ricerca di Hiram. I tre gradi della Libera Muratoria”; “ L’altro D’Annunzio”; “Saggi massonici di poesia. Giovanni Pascoli”;” Il mistero di Cagliostro e il sistema egiziano”; “Giuseppe Garibaldi”. Gentile maturò profonde istanze di natura religiosa ed evangelica anche grazie alla vicinanza e alla collaborazione con Ernesto Buonaiuti, Aldo Capitini e Danilo Dolci, ed in occasione del Terzo Congresso Nazionale per una Riforma Religiosa, tenutosi a Roma nell’ottobre del 1950, sostenne la necessità della indizione di una “giornata della pietà universale” consacrata alla “preghiera perii dolore di tutte le creature. Visse questi suoi ideali anche nell’impegno civile quotidiano: partecipò in prima linea alla battaglia per l’istituzione della Repubblica; si batté contro l’abrogazione della legge sul divorzio; fu membro della Lega Internazionale per i Diritti dell’Uomo, aderì ad Amnesty International e fu protagonista di innumerevoli iniziative di promozione della solidarietà e di tutela di ogni forma di vita. Dopo la sua morte, i familiari hanno donato i suoi libri e i manoscritti alla Biblioteca provinciale, che ha creato il Fondo Gentile.
LA FILOSOFIA DEL FASCISMO (E DEL RAZZISMO) DI CARLO GENTILE
Nel 1940 Carlo Gentile pubblica “La filosofia del fascismo”, un saggio di sessantatré pagine edito dal Guf “Nigri” di Foggia, apponendo sotto la sua firma la dicitura “fascista universitario”. Il fascismo sembra aver suscitato in lui un convinto entusiasmo. Si sofferma sul suo «valore trascendente ed eterno»: valore eterno che qualche anno di storia avrebbe spazzato via. Nella sua analisi, il fascismo rappresenta un importante fenomeno storico, una vera “rivoluzione”: le ripercussioni immediate si sono verificate in Italia dove è sorto, «ma molti aspetti hanno un significato universale: europeo e mondiale». Le dottrine del fascismo sono “dinamiche”: da un primo programma di rivendicazione, è passato ad uno più vasto di ricostruzione totalitaria della società italiana. È un sistema politico «cui incombe il grave ma glorioso ufficio di ammaestrare i popoli ad un ideale di vita più austeramente degno della storia e dell’avvenire». È un pensiero nuovo: mettendo in atto le aspirazioni di giustizia che partono dalle masse, «e purificando il popolo dalla letale esperienza delle ideologie estremiste», condurrà l’umanità su una via di pace e di benessere, che non sono una gratuita elargizione della Provvidenza, ma rappresentano mete da conquistare con la lotta e il sacrificio.
Per Carlo Gentile, le dottrine fasciste sono una vera filosofia. Pur non avendo un netto carattere teoretico, esse rappresentano «una sintesi di idee originali e profonde, create dallo spirito di un Uomo in cui la riflessione e la meditazione non furono mai inferiori alla genialità: Mussolini». Il Capo del fascismo non è soltanto un semplice statista: «L’Uomo nel quale l’Italia di oggi vede il suo più grande figlio ed il suo più intrepido condottiero, per la storia della sua fede, per l’apostolato politico, e per la meravigliosa originalità e potenza del genio creativo, è un vero pensatore». Lo stile conciso e vibrante di Mussolini esplica la sua massima potenza nella Dottrina del fascismo, elaborata nel 1932. Qui egli distrugge, in vista di principi nuovi e più puri, tutti gli ideali che imperavano in Italia subito dopo la prima guerra mondiale: la democrazia, il socialismo, il materialismo storico, il pacifismo, il liberalismo. Ideologie anacronistiche che hanno ormai esaurito la loro storica funzione politico-sociale.
Su “Fiammata”, “ settimanale fascista pugliese”, il 23 novembre 1942 (fascicolo 4 pag 2) ci colpisce l’articolo di Carlo Gentile dal titolo “Il razzismo nella realtà e nello spirito”; accanto alla sua firma appare di nuovo la sigla F. U. “Fascista Universitario”. Lo pubblichiamo in alcuni significativi stralci:
“Il principio razzistico, sia come fenomeno a sé, sia quale elemento di vita e di azione – scrive Gentile – costituisce un fatto tipicamente reale. (…) Questa idea non è una astrazione ipostatizzata bensì rappresenta la logica sintesi che può scaturire dalla sicura esperienza del reale, dalla constatazione cioè di effettive situazioni pratiche, suscettibili di sviluppi di approfondimenti per mezzo del pensiero. (…) L’idea di razza infatti, se presenta innanzitutto un inconfondibile tono scientifico, è parte integrante dello sviluppo generale del pensiero e riguarda inoltre aspetti importantissimi della vita pratica. Si rende perciò possibile uno studio di questo fenomeno, non solo nel settore puramente scientifico, ma anche nel campo filosofico e mistico, e in particolar modo nel campo politico. È proprio attraverso quest’ultimo lato dell’esistenza umana che i problemi della razza ricevono oggi opportune ed illuminate soluzioni da parte degli stati europei meglio organizzati nello spirito e nelle armi, cioè dall’Italia e dalla Germania.
Restringiamo qui il nostro studio ad una generica valutazione del fenomeno razziale In rapporto ai vari aspetti del pensiero umano, quali la scienza, la filosofia e la politica. Dal punto di vista scientifico, la razza esprime il concentramento e la stabilizzazione di energie originariamente libere ed indistinte, le quali si sono intimamente armonizzate in caratteri definiti, attraverso un processo di graduale assestamento, verificatosi soprattutto in relazione alle condizioni ambientali. Scientificamente non esiste una razza in senso assoluto, bensì una molteplicità più o meno sviluppata di tipi razziali diversi, classificabili mediante uno studio che riguarda ugualmente la biologia, l’antropologia e l’etnografia.
(…) Il grado di civiltà e di evoluzione storica raggiunto da una nazione, è un fenomeno derivante direttamente dal grado di progresso scientifico della etnia corrispondente alla nazione stessa.
(…) L’elemento razzistico può avere una piena valorizzazione nell’ambito dell’esistenza generica di un popolo, soltanto per mezzo dello Stato, massima entità giuridica del Popolo stesso.
In definitiva è doveroso affermare che l’idea di razza costituisce nella storia, non una astrazione ideale, ma una realtà effettiva da cui non si può mai prescindere a priori. Tale idea, per questo suo carattere essenzialmente realistico e per la costante influenza che esercita sulla unità psicofisica di un popolo, e quindi sulla sua civiltà, presenta problemi veramente vitali, risolubili solo in via politica, mediante disposizioni illuminate e coerenti” (firmato F.U. Carlo Gentile)
Maria Teresa Rauzino
l’attacco