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Vieste/ Viaggio negli anni dal 1943 al 2013. Sguardo oltre i confini di Vieste (16)

L’idea europea

Guardando fuori delle mura ideali della nostra città, dei molti avvenimenti di allora, il lettore troverà rievocato in queste pagine, di tanto in tanto qualcuno di quelli che più fecero scalpore, poiché tutto ciò che è avvenuto d’importante, anche se lontano da noi nello spazio, in qualche misura ci appartiene, appartiene al nostro tempo.

Chi ha i capelli bianchi come me, ne ricorderà certamente due, entrambi del ‘57: uno politico, che catalizzò l’interesse degli uomini più attenti alle vicende della politica, un altro politico-letterario, che coinvolse sentimentalmente l’opinione pubblica internazionale. Il primo fu la firma a Roma, il 25 marzo, del Trattato col quale veniva istituita la Comunità Economica Europea tra Italia, Francia, Germania Occidentale, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Era il primo passo concreto nella visione di un’Europa unita quale garanzia di pace duratura, nel rispetto delle varietà culturali e delle differenze. Da quel momento e durante i cinquant’anni che sono seguiti, pur tra inevitabili momenti di incertezza e di pausa, si è sviluppata un’intesa sempre più fitta fra i sei Stati fondatori e gli altri che in tempi diversi si sono aggregati sino a diventare 27 nel 2010, assumendo il nome di Unione Europea, per significare la propria unità anche in senso politico. Oggi, con i suoi 27 Stati e i 487 milioni di abitanti ha un’ampiezza quale non si era più vista dai tempi di Carlo Magno, anzi superiore. Per di più raggiunta pacificamente, attraverso il consenso dei popoli.

All’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, Winston Churchill, rifacendosi all’orgogliosa espressione degli antichi Romani “civis romanus sum” (sono un cittadino romano) – orgogliosa ma anche significativa di vantaggi – auspicò per le future generazioni di poter dire un giorno, con altrettanto orgoglio e convenienza, “civis europeus sum”.

Negli anni 50 e 60, quando la disoccupazione da noi era molto elevata, vi erano operai che trovavano lavoro nei cantieri di rimboschimento di 60 giorni istituiti dal comune e operai che preferivano un lavoro più duraturo e meglio retribuito in uno degli Stati dell’Unione europea, accolti ormai alla pari con i connazionali. Da Vieste partirono in tanti, e con i sudati risparmi più di uno riuscì a farsi la casa o altro bene.

Ora, anche se nell’Unione Europea non tutto è oro colato, fatto a occhio e croce il pro e il contro, penso che convenga starci dentro.

Un libro e una canzone

L’altro avvenimento, che ebbe una risonanza emotiva superiore al primo e durò anche più a lungo del precedente, cominciò nel mese di novembre del ’57, con la pubblicazione da parte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli del libro Il dottor Zivago. Un libro che le autorità sovietiche avevano vietato al suo autore, Boris Pasternak, di pubblicare, intorno al quale, tuttavia, all’estero già circolavano delle voci, trapelate dall’associazione degli scrittori sovietici. Il testo era arrivato in Italia attraverso vicende rocambolesche, con la mediazione di Sergio D’Angelo, direttore della libreria del Partito Comunista Italiano a Roma, a cui l’autore l’aveva affidato. Pasternak sperava che la posizione politica del mediatore e l’essere anche Feltrinelli un comunista potesse ammorbidire le autorità sovietiche. Ciò nondimeno restava dubbioso della riuscita e fors’anche presago di gravi conseguenze, tant’è che dopo aver consegnato lo scritto a D’Angelo gli disse: “Siete invitato alla mia fucilazione!”.

Il libro ebbe un successo clamoroso. Pubblicato in italiano venne tradotto in molte lingue. Boris Pasternak fu insignito del premio Nobel per la letteratura, ma le autorità sovietiche gli imposero di rifiutarlo. L’intensa e disperata storia d’amore tra il dottor Yurij Zivago e l’infermiera Lara, ambientata in Russia negli anni terribili della rivoluzione bolscevica, diventò nel 1965 un film di successo altrettanto clamoroso, basti pensare che a Roma fece registrare il record assoluto di permanenza in prima visione: 600 giorni. Quel film che affascinò gli spettatori del tempo, è rimasto altresì indimenticato per l’avvincente melodia che ne fu il sottofondo musicale, Il Tema di Lara.

Tutto italiano fu nel ’58 un evento musicale che valicò ben presto gli italici confini: il trionfo al festival di San Remo della canzone di Domenico Modugno Nel blu dipinto di blu, ribattezzato a voce di popolo Volare. Raggiunse una popolarità vicina a O sole mio, popolarità che in parte dura tuttora. Gli anni ’58 e ’59 segnarono l’ingresso alla grande del juke box nei bar e nelle sale da ballo (a Vieste il primo a introdurlo fu il bar Europa di Peppino Masanotti; s’infilava dentro una moneta e poi si selezionava il disco che si desiderava ascoltare). Quegli anni segnarono altresì l’affermazione di due musicisti-cantanti di nuovo genere, Renato Carosone e Fred Buscaglione. Il primo per il sapiente innesto del moderno stile musicale americano alla melodia italiana e napoletana, e il secondo per lo stile americaneggiante unito a testi fantasiosi.

L’aeronautica a Vieste

Nel 1958 mise un po’ a rumore la nostra città l’arrivo di un raggruppamento di militari dell’aeronautica, venuti ad installare i radar e quindi operare con quelli. Erano forse più di duecento. Dovevano “guardare” oltre la cosiddetta cortina di ferro, nella penisola balcanica, stante la guerra fredda in corso allora tra le potenze occidentali e quelle orientali.

Gli alloggi per i militari vennero costruiti in località Chiesiola, mentre gli ufficiali si sistemarono nell’albergo Adriatico, preso tutto in affitto.

Durante gli anni della loro permanenza a Vieste intercorsero rapporti più che buoni tra il comando del raggruppamento e le autorità civili, e tra le ragazze del posto e i giovani in divisa azzurra si accesero molte simpatie coronate con i fiori d’arancio e i confetti. Negli anni che seguirono l’Aeronautica, con la collaborazione del nostro Comune, costruì un gruppo di palazzine al lungomare Europa per i militari che avevano messo su famiglia e per quelli che già l’avevano.

Il radar rimase operativo a Vieste sino al 1964, quando cominciò il trasferimento del tutto nella foresta Umbra, trasferimento che venne completato nel 1966.

Le famiglie dei militari che già abitavano a Vieste, nella maggior parte vi rimasero.

Altre famiglie che s’erano trasferite altrove, quando i mariti andarono in pensione sono tornate qui, stimati componenti del nostro tessuto urbano.

Eventi garganici

Un primo evento sovracomunale, garganico, fu la costituzione del Consorzio di Bonifica Montana del Gargano, nel 1958 istituito per decreto del Ministero dell’Agricoltura e Foreste, promosso dal generale della forestale Michele Latessa di Monte S. Angelo. Parecchi lavori, eseguiti da allora nelle campagne di Vieste, si devono agli interventi del Consorzio, principalmente la sistemazione di alcuni importanti canali che attraversano la nostra campagna, la pulizia degli stessi, ora trascurata, la costruzione di qualche ponte qual è quello in località Santa Lucia, per consentire il deflusso delle acque in caso di grandi piogge ed evitare l’allagamento delle campagne; la strada litoranea Vieste-Mattinata.

Altri Enti comprensoriali vennero costituiti nei decenni successivi, quali la Comunità Montana del Gargano, negli anni 70, comprendente tutti i comuni del promontorio (soppressa a gennaio del 2010); l’Unità Sanitaria Locale, in sigla USL Fg/4, nel 1980, comprendente i comuni di Vieste, Peschici, Rodi Garganico, Vico del Gargano, Ischitella, Carpino, Cagnano e le Isole Tremiti (soppressa anche questa alla fine degli Anni ’90, assorbita nella più ampia USL FG/1 con sede a Foggia), il Parco Nazionale del Gargano, nel 1991, esteso su un territorio di circa 120.000 ettari con 18 comuni, dei quali 7 (Vieste inclusa) interamente nel perimetro del Parco.

Fuggiaschi a Vieste

Da fuori dei patri confini, a Vieste riceviamo negli Anni Cinquanta dei precursori dei migranti albanesi e d’altri Paesi che verranno numerosi alcuni decenni dopo.

Negli anni 50, nel nostro porticciolo arriva di tanto in tanto dalla dirimpettaia Dalmazia una barchetta con una o due famiglie che fuggono dalla Iugoslavia di Tito. Nel gruppo, talvolta c’è un anziano che mastica ancora un po’ d’italiano o, meglio, del dialetto veneto-dalmatìco, retaggio dei secoli in cui la Dalmazia fece parte della Repubblica di Venezia. Se invece non c’è, le autorità locali si rivolgono, per fare da interprete, a mia cognata Maura che, nata e vissuta fino a 30 anni a Zara, città allora italiana confinante con la Croazia, se la cava benino con la lingua croata appresa nei frequenti contatti con i contadini d’oltre confine, i quali venivano a Zara a vendere i loro prodotti.

A Vieste ricevono la prima assistenza. Dopo qualche giorno vengono accompagnati a Foggia, presso la Prefettura ai fini dell’asilo politico.

16 – (continua)

Ludovico Ragno

Il Faro settimanale