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KAIR AD-DIN ALL’ABBAZIA DI KALENA

Fra i più noti corsari che attaccarono il Gargano vi fu Kair ad-din (1475–1546), detto il Barbarossa, al servizio di Solimano. Insieme ai suoi fratelli spadroneggiò in tutto il Mediterraneo. Nel 1533 Solimano affidò a Khair ad-din la ricostruzione della flotta ottomana. Il rientro a Costantinopoli del corsaro fu un vero trionfo: fu acclamato re del mare. Non mancano suggestioni e leggende su questo corsaro riferibili a Santa Maria di Kàlena, un luogo-simbolo dell’immaginario collettivo di Peschici.
Il Vocino parla di "un tesoro nascosto a Kàlena insieme con la salma della figlia del corsaro Barbarossa alla fine del 1500". In realtà Kair ad-din non ebbe mai una figlia: la storia ci documenta che qualche anno prima di morire, a Reggio Calabria rapì un’avvenente fanciulla diciottenne, Dona Maria, figlia del governatore spagnolo, e la sposò. La leggenda andrebbe corretta: probabilmente a Kàlena fu questa ragazza ad essere sepolta dal Barbarossa, che come singolare cuscino le pose un vitello d’oro… Al di là della leggenda, è certo che dall’abbazia, un camminamento sotterraneo portava alla “caletta” del Jalillo: il passaggio segreto serviva ai frati per sfuggire alle frequenti scorribande turchesche, permettendo loro di raggiungere il mare, di imbarcarsi e rifugiarsi nella badia fortificata di Tremiti.

DRAGUTH E LA "CHIANCA AMARA" DI VIESTE

Anche se il viceré don Pedro di Toledo si era prodigato nel far costruire, nei luoghi più esposti al pericolo, baluardi di avvistamento e di difesa e, le minacce dei Saraceni, con repentini attacchi a sorpresa, si fecero sentire nella prima metà del millecinquecento su tutte le coste del Gargano.
Il 15 luglio 1554 Vieste fu espugnata dal corsaro Draguth, giunto con settanta galee.
Il Sarnelli registrò così l’evento: «In sette giorni (Vieste) fu presa, messa a sacco, e privata di settemila abitanti, fra schiauvi e morti». Il dato è sicuramente esagerato, comunque il numero dei viestani fatti prigionieri fu molto elevato, se l’eco di questo saccheggio arrivò persino in Vaticano.
Vicino alla Cattedrale di Vieste si trova ancora il masso, denominato «Chianca amara» (pietra amara), dove Draguth avrebbe fatto decapitare i viestani. Quando nel luglio 1554 la sua flotta si presentò all’improvviso di fronte all’isolotto del Faro, i cittadini si rifugiarono entro le mura fortificate. L’assedio durò sette giorni e, forse, la città non sarebbe mai caduta se il canonico Nerbis non avesse patteggiato la resa. Non appena le porte della città furono aperte, i turchi saccheggiarono case e chiese; torturarono e trucidarono moltissime persone, tra cui donne, bambini ed anziani. La Chianca rosseggiò orribilmente di sangue, che fluì nelle vie cittadine.

Mentre i giovani validi d’ambo i sessi venivano portati in catene sulle navi per poi essere venduti come schiavi, il feroce Rais ordinò di incendiare la città.
Chi era Draguth? Originario dell’Anatolia (Turchia), fu uno dei pochi pirati d’origine musulmana, poiché gli altri erano dei cristiani rinnegati. Da giovane aveva cominciato a “correre” i mari come luogotenente del Barbarossa. Nel 1551 divenne un corsaro alle dipendenze di Solimano II il Magnifico. Gli fu affidata la flotta della Mezzaluna con l’incarico di Rais e meritò l’appellativo di “Spada snudata dell’Islam”. Ogni battaglia era per lui un’opera meritoria per il Paradiso. Successe al Barbarossa, diventando il capo indiscusso della marineria turca.

GIACOMA BECCARINI GRAN SULTANA

Il 16 Agosto 1620, Manfredonia fu «messa a sacco e divampata dai Turchi». Le campane della chiesa di San Domenico, quella domenica mattina, scandirono le ore con un suono lugubre, quasi presagendo qualcosa di irreparabile. All’orizzonte fu avvistata un’enorme flotta turca, cinquantaquattro galee con oltre cinquemila uomini. Gli abitanti di Manfredonia, terrorizzati, scapparono fuori dalle mura. Gli invasori misero a ferro e a fuoco la città e catturarono tutte le persone valide per venderle come schiavi. I vecchi, i malati e i bambini furono uccisi; le case dei ricchi saccheggiate, quelle dei poveri incendiate, chiese e conventi profanati. Il 17 Agosto fu sferrato l’attacco decisivo al Castello, difeso dal governatore Carafa. La resa fu inevitabile. La fortezza fu consegnata a Pascià Alì, capo della flotta turca che, all’alba del 19 Agosto, levò le ancore, salpando con un ingente bottino. L’episodio è narrato dal Sarnelli e dai cronisti dell’epoca. Nel monastero delle Clarisse fu rapita la piccola Giacoma Beccarini, orfana di madre e figlia di un alto ufficiale dell’esercito spagnolo. Condotta a Costantinopoli, nell’harem di Topkaki, diverrà la favorita del sultano Ibrahim. Ventiquattro anni dopo, mentre si recava con il figlio Osman in pellegrinaggio alla Mecca, fu presa prigioniera dai Cavalieri di Malta. Non volle rinnegare l’Islam. La vicenda della Beccarini ispirerà la «Storia di la prisa di la gran Surdana», composizione siciliana in ottava rima.

GLI ALTRI SBARCHI DEI TURCHI SUI LITORALI DEL GARGANO

Nel 1600 e nel secolo successivo le incursioni saracene interessarono tutto il Gargano. La Cronica di Giuseppe Pisani, relativa all’ultimo scorcio del Seicento, ci fornisce una drammatica visione dei lidi e delle campagne invase dai Saraceni.

Tra i vari episodi, ne citiamo alcuni:

– Il 5 luglio 1672 sbarcarono più di duecento turchi nella chianca di Marino (Vieste), venuti con tre fuste grandi; fecero schiavi due uomini e una ragazza. «Fu grazia di Dio non farne gran numero – commenta il Pisani – stante la maggior parte metendo li campi et il sbarco fu a due hore dopo fatto giorno» .

– Il 16 maggio 1673, sul «giale di Mileto» alle prime ore dell’alba, era ancora buio, sbarcarono più di trecento turchi da «sei fuste dulcignane». Con bandiere e tamburi entrarono in Sannicandro Garganico. Erano guidati da rinnegati. Fecero schiavi diversi torrieri, sentinelle, «ma anco il sopracavallaro», il quale l’anno precedente era stato già sequestrato al ponte di Varano e riscattato con 115 zecchini.

-Il 25 luglio 1675 tre fuste di Turchi approdarono vicino alla grotta del Duca, presso Vieste. Diversi cittadini armati, usciti dalla città, combatterono "con la maggior parte di gente di detta compagnia". A un cittadino originario di Lecce, che si era "accasato in Vesti", i turchi mozzarono la testa e se la portarono via come macabro trofeo; fecero inoltre 22 prigionieri.

– Il 26 giugno 1677, alle prime luci dell’alba, «giunsero due fuste turchesche di S. Maura et sbarcarono dalla parte di dietro della Chianca di Marino, fra li confini di Vesti et Peschici, et girarono il piano grande, anco da sopra l’Acqua viva, il piano piccolo, il Morello et li Mezzani et girarono di sopra il monte S. Paulo et s’andarono ad imbarcare nella detta Chianca, con portare quattordeci persone Christiane: dieci homini et quattro donne». Questo sbarco fu clamoroso: mai i Turchi si erano così addentrati nel territorio. Il Pisani riferisce che essi erano guidati da "rinnegati nativi del Regno" e che, in fondo, il "bottino" fu minimo, da suscitare "gran meraviglia": i turchi avrebbero potuto senz’altro fare più prigionieri, «perchè v’erano in detti luochi quattrocento persone senz’ armi et non furono pigliati più delli sopradetti» . Nelle fuste vi erano dei “renegati nativi del Regno”.

– Il 4 settembre 1680, verso l’alba, nel tratto di costa tra Peschici e Vieste, sbarcarono 160 Turchi. Si recarono nella chiesa della Pietà, delle Grazie e del Carmine di Vieste, dove ruppero candelieri, carte di gloria, lampade, arredi d’altare e il SS.mo Crocifisso grande. I predoni si diedero al saccheggio e alle solite ruberie: fecero schiavi sei contadini, ammazzarono sette buoi e andarono a bollirne la carne sotto la Gattarella, dove erano ancorate le loro navi; altri assaltarono la Torre di Portonuovo. Finalmente, da Peschici sopraggiunsero due galee veneziane, fra cui la capitana del golfo guidata da Geronimo Garzon. I Turchi, riconosciutala, si imbarcarono celermente sulle loro fuste, dandosi alla fuga verso Levante: lasciarono sulla spiaggia le caldaie ancora fumanti ed un barile di polvere da sparo. Era stata la guarnigione spagnola che presidiava il Castello di Vieste a dare l’allarme: dei colpi di cannone avevano allertato gli abitanti, ma soprattutto le galee veneziane che controllavano la costa da Sfinale a Peschici. Inseguiti dalle due galee veneziane, i Turchi si rifugiarono a Ragusa vecchia, da dove contavano di ripartire all’assalto di Vieste.
Se questo progetto non si concretizzò fu solo grazie alla vigile presenza delle navi della Serenissima sul tratto di mare antistante la costa.

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