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LA MAFIA NON È INEVITABILE, FOGGIA DEVE ACCEDERE ALLA SPERANZA

«Era meglio se non scoprivano niente. Ora questi possono pensare che sia stato io a segnalarli. Non so che fare, se andare a trovarli per dire che non sono stato io». Sono le parole, dolenti, di un cittadino terrorizzato, captate dagli investigatori. Gelano il sangue e purtroppo testimoniano una sensazione diffusa in città. Sono parole di una vittima di un attentato dinamitardo, spaventato all’idea che i suoi aguzzini – arrestati dopo una accurata indagine – possano pensare che sia stato lui a denunciarli. È un perito assicurativo che aveva fatto semplicemente il suo dovere. E per questo doveva essere punito, così avrebbe imparato ad abbassare la testa. Colpirne uno per spaventarne cento, mille, tutti. O forse, una sensazione ancora più grave: la mafia è inevitabile. Un male che accade e che bisogna accettare, piuttosto che combattere.

Accade a Foggia, la mia amata città, al centro di una provincia meravigliosa. Un vero e proprio angolo di paradiso, dal Gargano ai Monti Dauni, dal Parco Nazionale alla piana, alle zone umide. Luoghi ormai famosi in tutto il mondo, celebrati su National Geographic e sulle riviste specializzate. Ma, negli ultimi anni, di Foggia e del suo territorio (vasto, come una piccola regione, più grande della Liguria, ad esempio) si parla e si scrive anche, o soprattutto, per le mafie che la flagellano: la Società, nata in città, i Montanari (di stanza nel Gargano, probabilmente la mafia più antica e violenta), i Cerignolani. E poi le consorterie a San Severo, Vieste, nel resto della provincia. Sempre più aggressive e sfrontate.   

Anni di sottovalutazione e di superficialità, anni di «qui non c’è la mafia», anni di «che importa, si ammazzano tra loro» hanno permesso a questi criminali di diventare mafie potenti, temute, rispettate. Capaci di controllare il territorio con violenza selvaggia e primitiva ma, al tempo stesso, di essere mafie imprenditrici, che operano in diversi settori, diventate leader nazionali nel traffico di hashish e marijuana, con collegamenti e interessi in Albania, nel nord e nell’est Europa. Non è un caso che recentemente il Procuratore Nazionale Antimafia, dott. Cafiero de Raho, abbia definito le mafie foggiane come la «nuova emergenza nazionale». Mafie connotate da una forte tradizione familiare, che oggi si proiettano sempre di più nella modernità, che si alleano, perché hanno compreso che il silenzio, più che le bombe, producono affari lucrosi.

Questa è la mia città, dove martedì il Prefetto ha comunicato l’insediamento della Commissione di Accesso, che dovrà verificare eventuali infiltrazioni o condizionamenti della criminalità organizzata nell’amministrazione comunale. Il che conferma le preoccupazioni mie e di molti cittadini, attivisti della società civile, espresse negli ultimi anni, a volte in solitudine. Anzi, isolati e minacciati di querele da parte di chi era a capo della macchina amministrativa.

Eppure c’è un cambio di passo, una volontà di riscatto. La data che segna la rottura, è quella terribile del 9 agosto 2017: l’eccidio di San Marco in Lamis. Due innocenti, i fratelli Aurelio e Luigi Luciani vengono ammazzati perché si trovano a passare ed essere testimoni del agguato omicida del boss della mafia garganica, il manfredoniano Mario Luciano Romito e suo cognato Matteo De Palma. Da quel momento la Squadra Stato (così definita a Foggia, ovvero tutte le componenti della magistratura e delle forze dell’ordine che lavorano insieme) ha fatto un lavoro immenso e ha sfoderato tutta la sua potenza. Dal 9 agosto 2017 ad oggi sono state effettuati sequestri patrimoniali per un ammontare complessivo di oltre 30 milioni di euro e oltre 60 operazioni antimafia di contrasto personale e patrimoniale; sono state attinte da misura cautelare quasi 400 persone; sono state sequestrate decine di tonnellate di droga e un enorme quantitativo di armi e munizioni; sono state emesse 67 misure interdittive antimafia nei confronti di imprese collegate o comunque condizionate dalle organizzazioni mafiose foggiane. A ciò si aggiunga che sono state sciolte per mafia le amministrazioni comunali di M. S. Angelo, Mattinata, Manfredonia e Cerignola. È stata istituita la Direzione Investigativa Antimafia a Foggia, una visione che rivendico, anche se non tutte le forze politiche hanno lavorato in questa senso, anzi. Il risultato lo si deve alla determinazione della ministra Lamorgese ed è giusto sottolinearlo perché, nel contrasto alle mafie, è necessaria sempre la verità storica dei fatti. Inoltre è stato creato lo squadrone elitrasportato Cacciatori di Puglia, di stanza nella nostra provincia, il Reparto Prevenzione Crimine con sede a San Severo. E, qualche mese prima, il Ros dei Carabinieri a Bari.  Ma l’esigenza di conoscere appieno il fenomeno, per contrastarlo al meglio, non si è fermata. Un anno fa, in Commissione Parlamentare Antimafia è stato istituito per la prima volta il “Comitato di approfondimento sulle mafie pugliesi”, che coordino. Tutto ciò non basta, ovviamente, occorrono la collaborazione continua dei cittadini e le denunce di chi è vittima del pizzo, di minacce, di usura. Questa è la risposta dello Stato, delle sue donne e dei suoi uomini alle mafie, e non solo quelle foggiane. La società civile sta reagendo. Indimenticabili sono le immagini dei 20.000 cittadini che hanno sfilato contro la mafia a Foggia nel gennaio 2020, o i 40.000 che qui hanno marciato con don Ciotti e Libera nel marzo 2018. E non dobbiamo dimenticare il lavoro di alcune associazioni anti racket, capaci di arrivare in pullman, con gli associati, in Tribunale, a sostenere le vittime che denunciavano. Sono semi di speranza, di una città, di un territorio che vuole rinascere. Tutti noi abbiamo il dovere di farli germogliare, prendendocene cura. Ogni giorno.

Mi si permetta un’ultima riflessione: le mafie foggiane si stanno inabissando. Come tutte le mafie, dopo la violenza cieca, le bombe, hanno compreso che il silenzio è il vero elemento di valore degli affari criminali. Ecco che l’attenzione deve essere massima ai silenzi, alla frontiera delle amministrazioni comunali, alle carte bollate, dove si combattono le nuove silenziose guerre. Dove una delibera può essere foriera di benessere per tutta la comunità, o deliberare un nuovo sacco edilizio a beneficio di pochi. Non accade solo a Foggia, e una commissione d’accesso quindi non è che la possibilità di comprendere se un Comune lavora per i suoi cittadini o per conto terzi. 

Marco Pellegrini

(Senatore Movimento 5 Stelle, coordinatore “XV Comitato della Commissione Antimafia aspetti e problematiche connessi alla criminalità organizzata nella Regione Puglia”).

messaggeroveneto