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Speciale scuola/ “Il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini”? (1)

Parla il Provveditore agli Studi di Foggia: “La riforma Gelmini è più che legittima”

 

Il provveditore Giuseppe De Sabato ci ha raggiunto in redazione per un Forum sulla scuola. Dietro questo incontro c’è la volontà esplicita del nostro quotidiano, di aprire un fronte di attenzione importante nei confronti del pianeta istruzione: un punto di partenza significativo da cui cominciare a discutere in maniera autentica, diretta, laica, con tutti i protagonisti che questo mondo lo popolano. Dai dirigenti ai docenti, dagli studenti, al personale Ata, ai precari. E’per questo motivo che con il buon Giuseppe De Sabato siamo partiti parlando un po’di tutto, in un momento in cui la scuola è una grande protagonista, oggetto di una riforma da più parti contestata e vilipesa. Con migliaia di precari che per quest’anno vedono in forse la loro supplenza, sindacati che promuovono giornate di protesta nazionale e studenti che si affannano ad urlare slogan e ad innalzare striscioni.
l’Attacco: Insomma, provveditore, ogni volta che si tenta di mettere mano alla istruzione succede un quarantotto. Ma perché è così difficile riformarla questa scuola?
 
De Sabato: Le reazioni alle riforme sono forti e sotto gli occhi di tutti. I motivi sono da ricercare innanzitutto nel fatto che il mondo della scuola è abitato da tantissime persone: il numero di addetti ai lavori, quindi, è molto alto, tanto che potremmo affermare che la scuola è la più grande azienda statale esistente in Italia. E poi perché nella scuola si intrecciano tantissimi interessi, che si mescolano tra loro, a raggiera. Immaginiamo sé noi dicessimo che le classi chiudono a luglio. Cosa accadrebbe? Un aspetto sostanziale che distingue questa grande azienda, è poi quello che parlano di un luogo che ha la responsabilità di formare le future generazioni. E’ da lì che arrivano gli interessi di tutti, dei ragazzi, dei genitori, dei docenti. La nostra responsabilità, insomma, è notevole.

A proposito di responsabilità, parliamo del maestro unico. Lei cosa ne pensa? E’ davvero così anacronistica, nei 2009, la classe con un solo docente?

Ricordo anni fa quando si introdusse il modulo, con tre docenti su due classi. Fu un passaggio importante, perché si passava dall’idea della ‘mia’ classe all’idea della ‘nostra’ classe. Era una legge del 1990. E anche allora vennero dette troppe cose: si parlò di frammentazione dei saperi, ci furono movimenti di opinione che osteggiarono il team, e tra loro figuravano anche autorevoli pedagogisti, che si opponevano a questa riforma. Poi il cambiamento è stato digerito, ed oggi il modulo è accettato e difeso. Quello che registro adesso, però, sono due fronti di idee contrapposti. Da un lato ci sono coloro che ritengono che con il team dei tre maestri, non si siano raggiunti gli effetti sperati, e pertanto auspicano al ritorno del maestro unico. Tra loro anche pedagogisti importanti quali Giuseppe Bertagna. Dall’altro altri pedagogisti, che guardano con estrema diffidenza ai nuovi scenari che si stanno aprendo, perché ritengono che occorra una pluralità dei saperi.

E la sua opinione qual’è?

Io sono un uomo di legge. Il mio compito è difendere ed applicare decisioni del governo. Del resto, se abbiamo voltato in una certa direzione, ora dobbiamo fidarci, e lasciare che il governo lavori. E’ a lui che dobbiamo demandare le decisioni. Nel 1990 quando è stato introdotto il modulo non lo abbiamo osteggiato. E lo stesso dobbiamo fare ora: non osteggiare.

Nella resistenza al maestro unico, lei vede una preoccupazione culturale o un’apprensione neocorporativistica, strettamente legata alla salvaguardia dei livelli occupazionali?

Mah, forse prevale lo spirito neocorporativo. Comunque se il maestro unico sarà valido o no, lo giudicheremo con il tempo. Non possiamo farlo a priori. Riguardo alla perdita di posti di lavoro, però, puntualizzo che chi è in discussione sono solo i precari, non gli insegnanti di ruolo. Ma ripeto che, in questo momento, tutti dobbiamo applicare la legge, noi nei nostri uffici e i docenti nelle loro aule. Alle isole Tremiti ci sono due docenti per due alunni. Ma ha senso il rapporto di uno a uno? Qual è la soluzione migliore?

A proposito, riguardo alla razionalizzazione della rete scolastica. Che soluzioni si prevedono per quei disabili che frequentano un istituto che presto sarà chiuso? Saranno costretti anche loro, come gli altri, a prendere un pullman per studiare in un altro centro vicino?

Questo è un ottimo tema. I piccoli centri, che hanno le loro piccole scuole, sono tanti nella nostra provincia. Ad esempio Volturara che ha 11 alunni. Lei ha ragione. Come si farà se la scuola sarà chiusa e tra gli studenti c’è un disabile? Io però voglio dire una cosa. Questo problema cel’abbiamo soprattutto noi del Sud, perché nel nord si sono organizzati per tempo, studiando i parametri e scegliendo di unirsi in istituti comprensivi. Se anche noi lo avessimo fatto, l’impatto di questa razionalizzazione sarebbe molto minore. A Margherita di Savoia, ad esempio, c’è una scuola con oltre mille alunni, perché non si è accorpata con un’altra che aveva meno iscritti, scongiurandone così la chiusura? Quando si parla di piano programmatico, si parla di riorganizzazione della rete scolastica. Non solo di tagli, così come si pensa. E le scuole sono state invitate a fare delle proposte per la loro riorganizzazione. I piccoli Comuni hanno avuto l’opportunità di offrire suggerimenti. Ma ad oggi non ci è arrivata quasi nessuna idea. E la scadenza è molto vicina.

Vuoi dire che in questo modo le scuole non sfruttano la loro occasione? E che così facendo saranno altri dall’alto a scegliere per loro?

Beh, di fronte all’inerzia si costretti ad usare la mano forte. Forse siamo noi meridionali a non saper sfruttare le possibilità che ci vengono offerte. Del resto, noi non abbiamo lo stesso culto per la legge che hanno nel nord. Mentre il più grande segno di democrazia è la partecipazione: la stessa partecipazione è una crescita per la democrazia.Vedo tutti questi studenti che scendono in piazza e mi chiedo quanti di loro conoscono davvero ciò che dicono. Non bisogna utilizzare in maniera errata le nuove generazioni.

Una cosa simile la sosteneva sul Corriere della Sera del 13 ottobre Ernesto Galli Della Loggia, che si domandava “Che cosa realmente sanno della scuola, della causa per cui protestavano, gli -studenti che l’altro giorno hanno affollato le vie e le piazze d’Italia? Probabilmente soltanto che il potere, cattivo per definizione,vuol fare dei tagli e imporre regole limitatrici della precedente libertà (…)“. Spiegando poi che in Italia nessuno vuol discutere di niente e che si sottovalutano i dati, nella occulta speranza che tutto rimanga come prima. Mentre sul come e sul dove trovare i soldi necessari alla scuola, l’opinione pubblica non ha la minima indicazione su cui discutere. Si scansa di continuo la realtà, sostiene Galli Della Loggia, un fatto che porta tanti a credere di vivere in un paese in cui i ministri sono nemici della istruzione, dal momento che si rifiutano di distribuire risorse che invece ci sono. Ernesto Galli Della Loggia la pensa come lei?

Non ho letto l’editoriale del Corriere della Sera. Ma io mi attengo ai fatti reali. I miei sono dati oggettivi. E auspico che l’opinione dei ragazzi sia sacrosanta. Mi auguro soltanto che sia Matura e non manovrata.

Crede che giungeranno dei segnali di vita dalle scuole, prima del giorno in cui scadrà la loro chance di far pervenire proposte?

Il provveditore non ha la possibilità di sollecitare. Il capo d’istituto deve inviare la sua proposta, la provincia deve fare il piano e la Regione deve deliberare. Gli attori sono loro, e loro è la responsabilità. Io ritengo, però, che se ci sarà una regolamentazione andrà meglio, perché non c’è niente di più deletereo di una pluriclasse alle elementari.

Lei dice che è meglio prendere un pullman che tenere insieme in classe bambini di età diverse?
Si.

I limiti della riorganizzazione scolastica sono stati fissati dal DPR del 98. Lei ritiene che oggi, a distanza di dieci anni, quella norma sarà rispettata? Insomma, questa volta si fa sul serio?

La legge del 98 fino ad ora è stata trascurata.
Ci sembra che lei sia molto a favore degli istituti comprensivi?

Si, molto. Per tanti aspetti. Sono anelli di continuità didattica, rendono meno traumatico agli studenti il passaggio dalle elementari alle medie e, se i nostri istituti l’avessero fatto, oggi vedrebbero scongiurata la possibilità divenire chiusi. Avrebbero potuto accordarsi per una distribuzione più equa.

Con l’accorpamento ci saranno delle doppie figure. I dirigenti scolastici ad esempio, i dirigenti amministrativi. Uno di loro dovrà essere sacrificato. Che ne sarà di loro?

Riguardo alla figura che un tempo veniva chiamata preside vedremo. Per i vecchi segretari invece abbiamo dieci, quindici posti da riempire. La priorità è quella di dare un miglior servizio scolastico agli studenti. Non c’è cosa più brutta e sbagliata del confondere i fini con i mezzi. Tutto deve essere orientato al fine educativo.
La mia idea della classe docente è molto alta. Solo che dobbiamo investire di più sulla formazione.

La scuola quindi non è solo una voce di spesa da tagliare, ma anche un anche un investimento sul futuro sociale culturale ed economico del nostro paese?

La scuola decisamente è un investimento che deve essere razionalizzato per ottenere un’istruzione migliore. Ci giochiamo il futuro delle nuove generazioni. E ci sono sacche di spesa e servizi non più adeguati ai nostri tempi, oltre ad indagini che mettono in evidenza delle grosse deficienze nei nostri studenti. I motivi sono da ricercare nelle mancate riforme, nella formazione dei docenti, che comunque svolgono appieno la loro funzione.

E quando il ministro Maria Stella Gelmini ha detto. la sua sui professori meridionali? Lei cosa ha pensato?

Io ritengo che il ministro sia stato frainteso quando sosteneva che il docente del sud ha maggior bisogno di formazione. E’ vero. Il professore del sud deve essere formato di più del collega del nord. Ma non perché sia ignorante, bensì perché si trova a fronteggiare una situazione sociale più difficile rispetto a quella dei colleghi del nord. Ha maggiori responsabilità e quindi maggiore bisogno di sostegno. Anche formativo.

Della riforma Gelmini si contestano molto i tagli: ce la farà la scuola con minori stanziamenti?

Noi dobbiamo limitarci ad applicare la legge. Gli effetti saranno valutati col tempo, ma non da noi, bensì da chi ci rappresenta.

Una posizione acritica la sua?
Insomma, al Sud bisogna parlare con franchezza se si vuole il bene del sud stesso. Due anni fa, quando la Moratti parlava di maestro prevalente (o tutor) tutti la contestarono. Oggi, quegli stessi che erano contro il prevalente, dicono No al maestro unico e Si al prevalente.

Quindi l’opinione pubblica non è matura?

Bisogna criticare ciò che si conosce, cosa che non sempre accade. Anche se io ho fiducia nei giovani e auspico nel loro senso critico.

La riduzione delle ore scolastiche è un altro campo di battaglia. Lei crede che un numero minore di ore lezione nocerà alla formazione culturale dei ragazzi?

Non sempre al numero delle ore corrisponde la qualità. In Italia, ad esempio, abbiamo molte ore di materie scientifichè rispetto all’Europa. Il problema sta nei programmi di insegnamento e nella qualità del sistema formativo. I primi sono vetusti. Ai secondi mancano strutture, laboratori, approfondimenti pomeridiani. Infatti, il ministro vuol mettere mano ai programmi di insegnamento, riformando gli istituti tecnici e professionali. Perché ad un numero minore di ore non corrisponde una minore qualità. Pensi che negli istituti superiori abbiamo novecento indirizzi:
è una diversificazione superflua. Quindi si ridurranno e si accorperanno le classi di concorso.
Vorrei dire qualcosa sul tempo pieno.

Prego.

Da noi è poco sviluppato. Lo sa il perché? Forse lo si è osteggiato. Forse non a tutti faceva comodo ritornare al pomeriggio. E non è un fatto culturale. Non è perché alle nostre donne risulta più facile andare a prendere i bambini prima di pranzo.
Certo,la struttura sociale del sud è diversa, qui la coesione familiare è maggiore rispetto al nord, e questa coesione ha potuto esercitare una funzione di supplenza del tempo pieno, che purtroppo non c’è.
Ma la volontà del tempo pieno da parte degli enti locali non c’è stata; così hanno evitato i costi della mensa e della edilizia scolastica. Il tempo pieno invece è importante, sia per la relazione tra compagni sia per un tempo di studio più disteso. Al nord inoltre ha pure portato al mantenimento dei posti di lavoro, oltre alla ricaduta positiva sugli alunni.
Da noi, in quei pochi casi in cui il tempo pieno esiste, funziona molto bene. E le famiglie lo apprezzano. Tutti devono investire sulla scuola. Cosa? Risorse
Cosa pensa riguardo le nuove modalità per accedere al concorso da dirigente?

Prima avveniva solo per titoli, oggi ci sono prove di ingresso a cui possono accedere tutti: occorrono solo cinque anni di anzianità di servizio. E dopo le due prove scritte viene fatta la graduatoria per risultati e titoli. E’ un cambiamento che è stato accolto bene da tutti, anche dai sindacati.

Una sorta di svecchiamento della presidenza?

Certo. Pensi che prima alcuni andavano in pensione dopo due anni che erano diventati presidi. Con costi di formazione che non venivano bene ammortizzati.
E sull’introduzione del voto in condotta cosa ne pensa?

Che occorrano dei rimedi al bullismo siamo tutti d’accordo. Sulla cura però ci dividiamo. Il voto in condotta è un cambiamento che le famiglie hanno apprezzato. Ed è uno strumento in più in mano ai docenti.

Alcuni ci hanno visto una eccessiva semplificazione, non utile alla risoluzione di un problematica ben più complessa.

Si tratta solo di uno strumento ulteriore per i docenti. L’azione contro il bullismo però va avanti, perché si tratta di un problema sociale che va risolto. Il voto in condotta non si prefigge, da solo, di risolvere tutto. Sarebbe velleitario.

E i precari? Per quest’anno stanno a casa?

Quella dei precariato è un fenomeno doloroso del nostro sistema scolastico. Ma il precariato è diffuso in tutti gli ambienti di lavoro, fa parte di un problema che si è tramandato negli anni. Per sapere cosa accadrà dobbiamo aspettare a luglio, quando il decreto ministeriale fisserà il contingente delle immissioni in ruolo. E potrebbero esserci dei posti inferiori alle attese.

E riguardo al concorso da ispettori. Oggi c’è. Ma non veniva bandito da ventanni. Come mai? Ci si è accorti oggi della mancanza di questa figura? Ne abbiamo particolare bisogno in questo momento?

Gli ispettori, o dirigenti tecnici hanno vari compiti: di consulenza, di assistenza, di guida e, non ultimo, di ispezione. Nella Regione Puglia ne abbiamo soltanto due. E si, nel processo riformatore se ne sentiva la necessità.

Da più parti si afferma che la scuola stia tornando indietro di 5O anni. Da quello che ha sostenuto in questo Forum, deduco che lei non sia dello stesso avviso?
 
Sono solo slogan. La realtà è un’altra cosa.
Matteo Palombo
L’Attacco